Il lavoro più bello del mondo

Siccome sto per parlare di giornalismo, osservo un minuto di silenzio per “Il Fatto” di Biagi, che oggi è sostituito da quel trippone di Ferrara.

L’altro giorno parlavo con un mio amico e collega del giornalismo in generale, su cui se ne sentono di tutti i colori. Tempo fa, il mitico Nonno B (ossia Biagione Agnes) disse che è il lavoro più bello del mondo. Altrettanto tempo fa, una carampana del tg1 (redazione cultura) di cui non farò il nome, mi fece un cazziatone dicendo che è un lavoro difficilissimo e duro e blablabla e c’era poco di divertente; subito dopo Marco Franzelli e Fedele LaSorsa presero le mie difese, concordando con me che invece è un lavoro divertentissimo.

Non c’è niente da fare, io amo il mio lavoro. E’ bellissimo e molto stimolante e non vorrei fare null’altro al mondo. Peccato però che ci sia fin troppa gente che lo critica, che pensa che fare il giornalista voglia dire cazzeggiare davanti a un pc o al massimo, ad una conferenza stampa, che i giornalisti sono tutti caproni ignoranti e soprattutto, che diventare giornalisti sia facilissimo e addirittura che nell’albo professionale, tra gli altri, si contano svariati membri del regno animale, come cani e porci.

Adesso, percarità, ce ne sono a iosa di giornalisti cani (anche se non ho ancora visto un cane giornalista), di sicuro ci sono tanti esempi non edificanti nelle fila delle varie redazioni… però fare di tutte le erbe un fascio è banale e stupido e soprattutto, dire che è un esame facile è ovviamente un’idiozia che può affermare soltanto chi non ha mai sostenuto una prova del genere.

Premessa: questa non è una filippica contro nessuno, nè voglio affermare di essere un genio del male/la quintessenza della cultura, anzi. Non ho mai detto di essere una persona colta, anche perché è una falsità. E non citerò ancora una volta la massima della Aspesi, non temete. L’avere una laurea, un master ed essere una professionista non fa di me una persona colta o sopra la media, ne sono perfettamente conscia, quindi amen.

In realtà, fare il giornalista significa farsi un m**zo tanto. Perché la concorrenza è tanta, il lavoro è poco, il settore è in crisi da fin troppi anni, le notizie non ti vengono a bussare allo schermo del pc, non si hanno orari nè vita privata, fare interviste non è sempre divertente e allegro, spesso incontri gente spocchiosa, a cui non va di rispondere o a cui, semplicemente, non gliene può fregare di meno di te e di quello che devi fare.

E quando sei giovane, i vecchi ti sfottono e ti ricordano quanto fosse bello questo lavoro quando loro erano giovani, oppure ti dicono quanto tu abbia false speranze, perché non riuscirai mai a fare realmente quello che vuoi. E tu sei li che ti ammazzi di lavoro, che cerchi di fare del tuo meglio anche se non hai la benchè minima idea di come si scriva un pezzo di sport o di cronaca nera, perché hai sempre fatto tutt’altro, oppure devi stare attento perché tizio o caio si potrebbero incazzare. E magari trovi anche uno stronzo fuori da un bar che ti minaccia per quello che hai scritto. Ci sono altri colleghi rosiconi pronti a dire che se ti metti una gonna corta è perché vuoi arrivare sopra  o sotto al tavolo del direttore, visto che solo così una può far carriera. E ne potrei dire tante e tante altre ma mi fermo.

Perciò vi prego, chi non fa questo lavoro e non ha idea di come sia da dentro, non parli. Non dica che è facile. Non dica che non facciamo un cazzo o che ci pagano per scrivere quattro stronzate che potrebbero dire tutti. Perché non è affatto così.

Ultimo appunto. Sabato scorso ho litigato con un imbecille che sosteneva che fare giornalismo musicale non è fare giornalismo. Ebbene, è una stupidità colossale e non c’è bisogno di ribadirlo in questa sede. Fare giornalismo musicale è difficile esattamente come occuparsi di cronaca o altro, fondamentalmente perché ci vuole una cultura nel settore che non si trova nei pacchi di patatine e che si costruisce con anni e anni e anni di ascolto di dischi, documentandosi ed informandosi. Scrivere una recensione può sembrare una cagata ma non lo è affatto, almeno non se lo vuoi fare come Dio comanda.

About La Rockeuse

Eh, ce ne sarebbero di belle da dire.
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2 Responses to Il lavoro più bello del mondo

  1. Giuliano says:

    Sono un aspirante giornalista di vent’anni. Rettifico: aspirante pubblicista. Una volta raggiunto tale grado, potrò reputarmi aspirante giornalista. Innanzitutto complimenti per il tuo blog, e complimenti per aver superato i gironi dell’inferno che compongono la scalata a questo mestiere.
    Dalla brevissima e intensissima esperienza che ho maturato fino ad ora (circa due anni), mi sento di poter dire che concordo con la tua disamina sull’oscuro e affascinante mondo del giornalismo.
    Sono passato dallo scrivere su siti web, a fare telecronache per una tv locale, a scrivere su periodici locali, a pensare di rinunciare, a progettare blog personali, ad immaginarmi “giornalista”, ad immaginarmi “disoccupato” (gli ultimi due flash sono sempre stati inspiegabilmente in successione…), a decidere di continuare ad insistere perchè in fondo “ce la posso fare”.
    E’ vero, molti lo considerano un non-lavoro. Paradossalmente potrei dargli ragione: è un non-lavoro in quanto assorbe in maniera così globale la persona che lo svolge, da rivelarsi una caratterizzazione personale, più che professionale: una commistione con la vita. Tant’è che, a mio avviso, giornalisti si nasce.
    Rigetto con tutto me stesso la figura del giornalista “rompipalle”. E’ una cosa che detesto profondamente. L’elemosinare una dichiarazione, pendere dalle labbra di qualcuno affinchè ci dia un motivo per scrivere, è il lato più avvilente del mestiere. Sono convinto che le cose da raccontare vadano al di là di fugaci interviste rilasciate da qualche personaggio indispettito assalito da feroci avvoltoi con taccuini, registratori e microfoni. Essere giornalista significa cercare la vera realtà che si cela dietro alle apparenze. Essere giornalista significa indagare e provare a dare risposte. Essere giornalista significa lasciare che gli eventi facciano il proprio corso, e non indirizzarne gli esiti in un senso o in un altro per costruirsi uno scoop di plastica riciclata. Essere giornalisti significa essere consapevoli che quasi sempre ci sia qualcosa da raccontare, e nel momento in cui non ci fosse nulla, la miglior notizia sarebbe il silenzio, unica medicina contro quelle forzature editoriali figlie di una nevrotica frenesia cronachistica.
    Questo è, nella mia ingenua e immatura convinzione, essere giornalisti. Il resto sono solo chiacchiere.
    W noi.

    Un giornalista del futuro. (Forse).

    • La Rockeuse says:

      Sono commenti come questo che mi rendono felice di aver deciso di aprire un blog ma soprattutto, sono commenti come i tuoi che mi fanno capire che questo è veramente il lavoro più bello del mondo.
      Mentirei se ti dicessi che è un percorso facile, tutto fatto di festini, conferenze stampa con buffet, vari ed eventuali… ma questo non lo rende un lavoro non bello o stimolante, anzi.
      Da come scrivi, da quel che ho letto adesso, mi sembri molto motivato. Ti prego, non perdere la tua voglia di fare il giornalista, il tuo amore per la professione…
      così, tra tanti colleghi che non capiscono veramente nulla, ne avrò presto uno che invece merita veramente il titolo di “giornalista”.
      Grazie di essere passato per di qui 🙂

Dammi amore!